top of page

Obbligazioni di mezzi e risultato: giurisprudenza e dottrina


Uno dei dibattiti più annosi e risalenti nella tradizione della civilistica contemporanea è stato certamente quello inerente alla distinzione tra le cosiddette obbligazioni di mezzo e di risultato. Compendiando la ricca letteratura in tema si può affermare che si ha obbligazione di mezzi nel caso in cui il debitore si impegni esclusivamente a fare tutto ciò che è in suo potere per assicurare quanto meglio il raggiungimento del risultato che la sua controparte mira a raggiungere. Si ha invece obbligazione di risultato laddove un soggetto assuma l’obbligo di garantire l’esatto raggiungimento del risultato sperato, sì da ritrovarsi assoggettato ad un onere della prova ancor più difficile da soddisfare in caso poi il risultato non dovesse essere raggiunto.

Da queste premesse si evince quanto rilievo assuma la questione per chi abbia a che fare professionalmente con la contrattualistica e, di conseguenza, con i collegati profili di responsabilità per inadempimento. Di conseguenza, è opportuno interrogarsi sull’utilità e sulla necessità di indicare per contratto a quale delle due fattispecie citate appartenga la prestazione oggetto del contratto del caso di specie.

Bisogna innanzitutto sottolineare come tale distinzione non trovi nel nostro ordinamento alcun tipo di base normativa, presente invece nel codice civile adottato in Francia. Proprio qui, peraltro, tale distinzione fu inizialmente proposta da René-Nicolas-Andres Demogue nei primi del secolo scorso. Dopo aver per anni accolto la distinzione, anche i giudici d’oltralpe paiono però aver recentemente rivisto la loro posizione: in una sentenza della cassazione parigina è infatti ribadito come la distinzione, pur sussistente in conformità alla lettera del codice civile francese, non sia suscettibile di produrre alcun effetto in merito all’ordinaria regola di ripartizione dell’onere della prova.

Tale processo di graduale superamento della distinzione si è peraltro riproposto anche in Italia, dove una ricca corrente di pensiero dottrinale già da anni consigliava un radicale mutamento di impostazione: alcuni infatti criticavano la relatività dei concetti di mezzi e di risultato, altri sottolineavano come il regime di responsabilità contrattuale fosse da considerarsi in Italia del tutto unitario, altri ancora ponevano l’accento sulla natura esclusivamente quantitativa della distinzione intercorrente tra i due tipi di obbligazione.

Cionondimeno, la giurisprudenza italiana ha a lungo accolto la distinzione (si veda, inter alia, S.C. 15781/2005), consentendo la distinzione tra due diversi tipi di responsabilità benché, come detto, del tutto sfornita di una base di diritto positivo nel nostro ordinamento. Solo dal 2008 la Cassazione ha iniziato a rivedere le sue posizioni in tema: in primis, ha ribadito come la distinzione di obbligazioni tra mezzi e risultato non sia suscettibile di modificare la regola di ripartizione dell’onere della prova sancita dall’art. 2697 c.c., anche per il carattere unitario del regime di responsabilità prevista in tema.

Peraltro, la sentenza da ultimo citata è stata oggetto di veementi critiche: diversi autori hanno infatti lamentato il rischio che assoggettare i medici ad un regime di responsabilità tanto restrittivo rischia di disincentivarli dal compimento di operazioni di per sé oggettivamente molto restrittive. Inoltre, addossare ai medici stessi l’onere di dare prova di casi fortuiti ed eventi esogeni che siano intervenuti nel processo di guarigione, che non presentino legami di sorta con le terapie da loro prescelte, significa gravare gli stessi di un onere che molto spesso non potrà essere soddisfatto non tanto per carenze di perizia o di diligenza imputabili al medico, quanto perché la medicina si presenta come una scienza in costante evoluzione che non possiede ancora tutte le risposte, soprattutto in relazione alle patologie più rare o più recentemente divenute oggetto di ricerca scientifica.

Del pari, alla distinzione è stata negata rilevanza in un recente caso concernente la responsabilità degli avvocati per le attività di assistenza svolte a favore del proprio cliente. In particolare, la Suprema Corte ha statuito l’irrilevanza di eventuali clausole contrattuali di esclusione della responsabilità per l’eventuale mancato raggiungimento dei risultati, indicando come non possa esistere obbligazione in cui non abbiano contestuale rilievo tanto la prestazione effettuata quanto il risultato mirato, in un’ottica di reciproco completamento.

Una vera e propria distinzione permane invece tra le obbligazioni contrattuali comuni (ex art. 1218 c.c.) e le obbligazioni che implicano la risoluzione di problemi di particolare complessità tecnica da parte del professionista intellettuale (art. 2236 c.c.). Tale distinzione, tuttavia, non si deve intendere come riproduzione in materia processuale del binomio mezzi-risultato: si tratta piuttosto di una semplice attenuazione di un regime di responsabilità che in alcun modo nega la rilevanza che necessariamente si deve continuare ad attribuire a ciascuna delle due componenti in parola.

Per quanto concerne il profilo più pratico della trattazione svolta, è utile infine sottolineare che l’eventuale inserzione nel testo contrattuale di una clausola che renda esplicita la volontà di assumere una mera “obbligazione di mezzi” sia una scelta poco rilevante in termini giuridici. I giudici sono e resteranno liberi di statuire ciò che ritengono più opportuno in merito al rilievo da attribuirsi al conseguimento (o al mancato raggiungimento) di un risultato tramite la prestazione svolta dall’obbligato. Pertanto, la scelta di specificare in contratto le proprie intenzioni in materia si risolve in una clausola la cui utilità è da ascriversi alla mera correttezza dei rapporti intercorrenti tra professionista e cliente: se sin dall’inizio si dichiara di volersi obbligare a svolgere la propria prestazione senza fornire alcuna garanzia rispetto al risultato della stessa, si potrà solo sperare in una maggiore comprensività da parte del cliente in caso il risultato non venga poi effettivamente raggiunto. Senza che, tuttavia, lo stesso cliente veda limitati in alcun modo i suoi poteri di ottenere una tutela giurisdizionale nel corso della quale difficilmente si terrà conto della presenza della clausola in parola.

596 visualizzazioni
bottom of page